lunedì 28 dicembre 2015

La scolarizzazione dei piccoli italiani a Villerupt, Thionville e zone limitrofe


©Fiorinto Cuppone
la foto ritrae il piccolo Fiorinto Cuppone
(quinto da sinistra nella fila più bassa)
nel 1962, quartiere "les Sapins" di Villerupt


Les enfants d'immigrés italiens dans les écoles françaises (1935-1955) 

master 2  université di Nantes 2010
tesi (mémoire - si dice in francese) scritta da Louise Canette e liberamente consultabile sul sito MEMOIRE online (clicca qui)



La scuola intende favorire l'inserimento dei fanciulli stranieri in Francia per integrarli e farli diventare francesi. Si parla di integrazione nel senso di mentalità da incorporare nel sistema giuridico e sociale della Francia degli anni '50. È fuori questione che il bimbo mostri la sua provenienza nell'ambiente scolastico.

I maestri chiedono ai genitori di non parlare italiano in casa, di parlare solo in francese al fine di favorire suddetta integrazione.

Si richiede inoltre che i bambini non abbiano l'accento (straniero).

collection Jacqueline Fantin-Crampon (emprunté au site MEMOIRE online)

Del tutto digiuni di didattica (1), molti genitori  obbediranno a quelle richieste per amore dei loro figli e  smetteranno di parlare italiano (o meglio il dialetto del proprio paese di provenienza) per parlare uno strano francese peraltro pieno zeppo di errori.

Pochi saranno coloro i quali continueranno a parlare italiano - esclusivamente italiano - ai loro figli.

Uno di questi è Bruno Baldelli. L'ho conosciuto, l'ho intervistato.
Conosco due suoi figli, Ada e Aldo. Hanno frequentato la scuola elementare a Thionville. Metto qui le loro impressioni di bambini, ripensate da adulti.

Aldo Baldelli (classe 1964): 
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videointervista - via skype -  del 21 dicembre 2015
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Adelmo, mamma Bruna con Aldo in
braccio e Ada Baldelli
(Thionville, 1966)
Aldo bambino viveva nel quartiere «Côte des Roses», che all'epoca era prossimo alla campagna, di Thionville (in Mosella). Lui ricorda che era inappropriato, fuori luogo, parlare in italiano, seppure moltissimi bimbi fossero figli di italiani immigrati. 

Per facilitare l'integrazione e probabilmente anche a causa di un malcelato complesso di essere stranieri, i bambini venivano battezzati con un nome francese e non italiano (all'epoca, si usava mettere ai nuovi nati i nomi dei nonni). Non era il suo caso, dal momento che i suoi genitori avevano imposto ai figli i nomi italianissimi di Adelmo, Ada e Aldo.

Non manifestare la propria condizione di stranieri, parlando in francese invece che in italiano, osserva Aldo, denunciava la paura di essere rigettati. Inoltre, a livello scolastico, la cultura d'origine non poteva essere mantenuta agli stessi livelli della cultura ospite (leggi: dominante, n.d.r.), giacché si riteneva che la prima potesse essere di ostacolo al corretto apprendimento  linguistico del francese. A ogni buon conto, si era malvisti se non si parlava francese in pubblico.

D'altronde, dal punto di vista morfosintattico, il sostrato italiano (l'italianità culturale) non era obiettivamente forte: si trattava perlopiù di cultura locale (eugubina, nel nostro caso), e la famiglia di origine spesso non era andata oltre la licenza elementare. Sia pure apparentato col toscano, l'idioma eugubino non poteva dirsi equivalente dello standard italiano, sicché gli errori ortografici (le doppie, le *a* e le *o* con/senza acca, a casaccio) e ortoepici (l'apertura delle *e* e delle *o*, per esempio) dei loro genitori passavano inevitabilmente ai figli.

Bruno e Bruna Baldelli scelsero di parlare in italiano ai loro figli:
«Da parte della mia famiglia, non fu una questione di filosofia, non c’era nulla di pre-ordito, di pianificato: erano semplicemente degli italiani aperti al mondo, tant’è che hanno cominciato a parlare molto presto francese».

Aldo conclude dicendo che per conto suo, l'integrazione italiana è perfettamente riuscita; altra cosa è l'assimilazione. 

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AssimilazioneCon questa espressione si intende quel processo per cui un individuo o un gruppo abbandona la propria cultura e cerca di assumere quella dominante.



Ada Baldelli (classe 1956):

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intervista - via telefono  -  del 28 dicembre 2015
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Ada aveva 6 anni nel 1962. Nella sua classe, su trenta scolari della sua classe, 1/3 erano italiani. Sui 10 italiani, 3-4 soltanto parlavano italiano.

Io ero un'alunna abbastanza riservata. Da piccola, il mio nome non mi piaceva perché non era francese. non volevo essere diversa dagli altri. 

Lei dice:

Je pense que l'immigration, au sens large du terme, porte en elle quelque chose de douloureux... pas malheureux, car les gens quittaient leur pays pour "une vie meilleure", mais la douleur de quitter son pays, sa famille... son soleil, et ce sentiment enfoui d'un espoir de retour. Et nous, les enfants, nous ne savions appartenir ni complètement à l'une, ni complètement à l'autre... une éducation différente à la maison... et à l'école.


[penso che l'immigrazione, nel senso esteso del termine, porti in sé qualcosa di doloroso, non infelice, giacché la gente lasciava il suo paese per "una vita migliore", ma il dolore di lasciare il loro paese, la loro famiglia, il sole e quel sentimento soffocato della speranza di poter tornare. e noi bambini, non sapevamo appartenere completamente né all'una (cultura, lingua) né all'altra... un'educazione diversa a casa... e a scuola

E aggiunge:

I genitori s'istruivano dietro ai loro figli, facendo i compiti con loro... papà leggeva il giornale (francese) e la Gazzetta. La mamma comprava le riviste e s'interessava molto a quel che c'era scritto nei nostri libri scolastici. Imparava a memori le poesie con noi. Le piacevano le illustrazioni dei nostri quaderni di poesia.



Ada ricorda inoltre che la mamma ci teneva tantissimo a che la casa e loro tutti fossero sempre puliti, perché «i francesi ci dicono che siamo sales, che siamo sporchi».
Michel Platini (classe 1955)

Mon italianité s'est, en fait, construite au fil de ma vie. De la Lorraine, où je suis né, on disait alors que c'était une petite Italie. Mais si mes grands-parents, entre eux, parlaient italien, mes parents ont tout fait pour s'adapter à la langue française et à la France. C'était l'après-guerre et le traumatisme était encore bien réel, tout comme le contentieux entre les deux peuples. Il n'était pas bien vu de parler italien.
Alors pour moi, à Jœuf, où la communauté italienne était très solidaire, l'Italie se résumait à l'église et au football, la deuxième religion des Italiens, pour les activités extérieures, et, à la maison, aux pâtes, rituel de la plupart de nos repas. Le dimanche après-midi, tous les Italiens étaient au football, sur le terrain ou autour, et tous les joueurs de l'équipe avaient des noms à consonance italienne. La vie allait de l'église au terrain de football. Ma famille en est l'image parfaite : mon père était footballeur et entraîneur et ma mère faisait le catéchisme (*).
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(*) Michel Platini è nato a Joeuf nel dipartimento Meurthe-et-Moselle, non distante da Villerupt. L'intervista è stata rilasciata a Le Figaro international  il 12.03.2011 (clicca qui per leggere tutta l'intervista (in lingua francese)  pubblicata via web con il titolo: Quelque chose en eux de l'Italie
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Le foto che seguono sono tratte dal sito COPAINS D'AVANT

scuola materna 1955 - Villerupt

Alla scuola materna i bimbi sono ancora in classi miste nel 1955.

classe elementare 1958-1959 - les garçons VILLERUPT
 Alle elementari, le classi sono rigorosamente: maschili e/o femminili. Anche l'ingresso alla scuola è diverso. In pratica, i bimbi dei due sessi non si incontrano mai, spesso neppure alla récré (ricreazione).

classe elementare 1958-1959 - les filles VILLERUPT
Ed ecco due interni di aula elementare [per bambine e per bambini] dello stesso anno scolastico, nella stessa città e nella stessa scuola, la Raymond Poincaré:

interno scuola pubblica 1963 les filles - Villerupt



interno scuola pubblica 1963  les garçons - Villerupt 

Infine metto una foto degli anni '60. Si notano differenze?

1960 classe elementare VILLERUPT




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(1) oggi non soltanto è venuto meno il concetto di integrazione inteso come rinuncia alle proprie origini  a favore del Paese di accoglienza, ma anche per quel che riguarda l'apprendimento solipsistico della lingua (una sola in tenera età), non si è più così chiusi: ci si è accorti che al contrario il bambino che si trova fin da piccolo a contatto con più lingue le apprende entrambe, senza eccessivi problemi.

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